In occasione dell'150° aniversario dell'unità d'Italia la febbre da celebrazioni è esplosa un po' ovunque; a Torino, tra i tanti eventi proposti, il più rilevante è sicuramente la grande mostra del programma 'Italia 150', tutt'ora in corso alle OGR di corso Castelfidardo. Dopo anni di abbandono e anonimato, le Officine Grandi Riparazioni sono finalmente (forse) risorte, nell'entusiasmo generale di una Torino che ha oggi pienamente compreso il valore del proprio passato industriale.
Tuttavia, se è vero che Torino si sta muovendo realmente verso un graduale recupero delle vecchie strutture produttive ormai dismesse, è altrettanto vero che si tratta di un processo con ancora molti coni d'ombra. Che farne di questi immensi isolati? Un evento come quello del centocinquantenario non capita tutti i giorni; dunque quale direzione per i prossimi interventi? Come rapportarsi con l'esistente? Come garantire la sopravvivenza, ammesso che lo si voglia, alle fabbriche, ai capannoni, agli opifici dimenticati che costellano buona parte del territorio urbano?
Come ormai sapete, trueisgood cerca di rispondere alle domande osservando da vicino. Tra le tante realtà in fase di trasformazione, una in particolare (per le dimensioni, per la qualità del segno che ha lasciato nella città, per l'importanza storica) ci è parsa di rilevanza notevole. Si tratta delle Officine Grandi Motori (OGM) che la FIAT e l'Ansaldo, tra il l'ultimo decennio dell'Ottocento e gli anni Venti del XX secolo, edificarono tra Barriera di Milano e borgata Aurora, in un rettangolo di 91.167 mq che la comunità locale non tardò di soprannominare 'Lingottino' (in riferimento al ben più esteso Lingotto). Il parallelismo è giustificato; non soltanto per le imponenti proporzioni, ma anche e soprattutto per la qualità del costruito. Se lungo via Nizza si staglia infatti quella che può essere a pieno titolo considerata la cattedrale dell'industria italiana, in corso Vercelli, all'interno del complesso Grandi Motori, sorge la 'Basilica' (così è conosciuta) degli operai, anch'essa progettata dall'architetto del Lingotto, Giacomo Mattè Trucco.
La Basilica è un complesso straordinario; il fronte su strada esemplifica senza retorica la valenza civica di un architettura pensata non solo come luogo della produzione. Le ampie aperture, disposte su quattro file, dissimulano convincentemente le considerevoli altezze degli interni, che purtroppo non abbiamo potuto vedere (ogni apertura è sprangata; si può solo sbirciare lì dove le vetrate sono andate in pezzi); in verità, ogni elemento è regolato in funzione della proporzionalità e del modulo: il sistema strutturale in calcestruzzo armato (pionieristico per l'epoca) è dichiarato sul fronte, con marcapiano, tessiture differenti e rilievi, facendo intravedere l'inizio di quel processo di sintesi formale che condurrà, nei decenni seguenti, al rigore modernista. La Basilica oggi sembra ancora più grande; il suo intorno viene progressivamente demolito, in virtù di un progetto di riqualificazione che intende conservare solo alcuni elementi, per far posto a nuove residenze e all'ennesimo centro commerciale (date un'occhiata); fino a qualche tempo fa ad essa erano connessi ampi capannoni, ridotti ora a brandelli in un gigantesco cantiere che si propone luogo di innovazione territoriale. Sarà così?
Davvero, e qui torno al quesito di partenza, è questa la soluzione? E' necessario mettere le vetrine in un luogo come questo? Guardando il portafogli probabilmente sì; si tratta di strutture gigantesche il cui mantenimento diventa ogni giorno più costoso e problematico, e dubito che l'amministrazione pubblica abbia le possibilità di accollarsi oneri del genere. Da questo punto di vista, tra la demolizione e le vetrine scelgo le seconde. Ma proprio centri commerciali, con negozi di abbigliamento in serie, ipermercati e fast-food? Luoghi sempre uguali, con le stesse medesime forme e identiche finiture, esibizioni spesso volgari di un'architettura pret-à-porter? Quel poco che rimarrà delle OGM finirà decontestualizzato, ridicolizzato, in barba ad ogni integrazione.
Mi auguro non accada nulla del genere, anche se i timori sono fondati. L'ex Grandi Motori, non solo la Basilica, è ancora viva, nonostante le ruspe; lungo tutta la via Cuneo (traversa di corso Vercelli) rimangono ancora, seppur monchi, altri esempi industriali di altissimo valore, risalenti addirittura al primo Novecento. Idem in via Damiano, alle spalle della Basilica, dove ancora sono visibili i capannoni dell'Ansaldo realizzati da Pietro Fenoglio, celebre esponente dell'art noveau torinese. Lo stato di salute è a dir poco precario e certamente verranno mantenuti nel progetto di trasformazione, spero senza intaccarne l'autenticità. Su via Damiano vi sono anche delle case popolari dello stesso periodo, il cui progetto è probabilmente da attribuire sempre a Fenoglio (i caratteri liberty dell'insieme mi inducono a pensarlo). Ammiratele qui.
Nota positiva: nella Basilica si consumerà il processo di evoluzione del CEMED (Centro museo e documentazione storica) del Politecnico di Torino, che da 'semplice' archivio diverrà museo della macchina e dell'industria con il nome di Officina Torino; il Politecnico, insieme alla regione, al comune ed alcuni privati, raccoglierà infatti in questi spazi la propria collezione di macchinari industriali, mettendo a disposizione della città un importante centro di ricerca che potrà diventare, con un po' di ottimismo, vera innovazione per la città, che concretizzerà la consapevolezza della propria storia.
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