Navigando per la rete alla ricerca di spunti ci siamo imbattuti in questa bizzarra 'fanta-architettura', citata a quanto pare da un sacco di bloggers con l'etichetta di nuova proposta e/o sperimentazione. L'edificio risale al 2007 ed è stato realizzato dallo studio Arkpabi di Cremona. Siamo andati a vederlo da vicino, da bravi portavoce di trueisgood. Gli scatti sono pochini, è vero... Se desiderate una carrellata più consistente fate un giro qui (sezione 'architecture', voce 'residential').
Siamo in periferia: grandi arterie di scorrimento, strade secondarie ampie con incroci regolari, prevalenza di tipologie residenziali a blocco, discreta qualità ambientale, un sacco di auto e passi carrabili. Ora, in mezzo a tutto ciò immaginate di giocare con quei famosi mattoncini colorati danesi (sì, quelli) e di creare un immenso castello di parallelepipedi, inseguendo i vostri ricordi d'infanzia in un malinteso senso della creatività. Se avete seguito per bene le istruzioni è probabile che abbiate assecondato lo stesso delirio di onnipotenza che si è consumato in questo angolo dimenticato di Milano; non manca nulla: curtain-walls, ballatoi metallici, balconcini tozzi, finestre rettangolari, finestre quadrate, porte finestre, rivestimenti zincati, pilastrini, palizzate ciclopiche, strutture a sbalzo, corti chiuse, superattici... La carne al fuoco è tanta, troppa, gettata con leggerezza e presunzione sull'altare della sperimentazione e della ricerca formale (manco fossimo nel solco dell'Avanguardia). Il tutto condito per giunta da un pastiche cromatico che fa della tinta pastello (revival anni Ottanta?) il fiore all'occhiello della composizione, esibito con disinvoltura in questi (terrificanti) 'neo-bow-windows' microscopici.
Il problema è che piace. Nella tetra e grigia periferia milanese è arrivata una ventata di aria fresca, una tavolozza di vivacità che tutti (tranne noi) a quanto pare aspettavano da tempo; come accennato, non si contano gli sproloqui sui mattoncini di via Doberdò. L'unica nota positiva, a mio avviso, è da ricercare nell'eterogeneità dei materiali; ma attenzione: l'interesse verso il dettaglio materico è di tipo puramente fieristico (sono talmente tanti che sembra un catalogo). Vorrei dire qualcos'altro di pregnante ma onestamente non ci riesco. Sarà colpa dei colori, catturano lo sguardo a lungo andare. Allora funziona.
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