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31.8.11

Como, via Anzani 34

Continua il tour comasco di trueisgood, ancora sulla strada del razionalismo, che in questa città ha lasciato non soltanto esempi celebri. E' il caso delle residenze site in via Anzani, fuori dal perimetro murario della città storica; pur di notevole caratura infatti, non si annoverano tra le più rappresentative architetture contemporanee di Como (come l'asilo 'Sant'Elia' e la Casa del Fascio), rimanendo lontane dagli occhi del grande pubblico.
 

Progettate da Giuseppe Terragni e Alberto Sartoris tra il 1938 e il 1943, le case popolari di via Anzani sono costituite da due edifici paralleli, due stecche longitudinali di altezza differente (il blocco più a sud conta cinque piani fuori terra; quello a nord solo tre) separate unicamente dal cortile interno, deputato a giardino. Entrambi i caseggiati adottano la stessa tipologia di fronte, per certi versi riconducibili alle logiche già viste nella Casa del Fascio: due sistemi sovrapposti e connessi, il primo basato su un reticolo strutturale, il secondo sull'alternarsi delle aperture. Qui la composizione è tuttavia più tradizionale, meno ardita concettualmente, ma sicuramente più legata a ragioni funzionali; il partito più esterno, formato da semplicissimi pilastri in calcestruzzo e dai solai a sbalzo, ha ragion d'essere in quanto supporto del sistema distributivo a ballatoio che ne regola la forma. Le aperture in secondo piano, uguali nella disposizione ad ogni piano, costituiscono infatti il limite esterno degli ambienti interni; i ballatoi sono spazi di transito,  contenuti da bellissimi parapetti in muratura intonacata. La scala, anch'essa essenziale nelle sue geometrie, si snoda obliquamente rispetto alla rigida orizzontalità della composizione.

In facciata la forma è nuda, regolata unicamente dalla funzione e concretizzata materialmente con pochi elementi; non si carica di quella tensione percepibile nell'asilo 'Sant'Elia' o nella Casa del Fascio, ma è ugualmente espressiva nella sua povertà lessicale. Tuttavia, i due edifici non sono privi di punti deboli. Innanzitutto, le altezze differenti; il gap di due piani permette all'ago della bilancia di spostarsi troppo su un lato, squilibrando un insieme già non troppo coeso; i due blocchi difatti, non presentano facciate direttamente confrontabili: il fronte della residenza a sud si delinea lungo la strada (via Mentana), mentre quello a nord guarda sul cortile interno, trovandosi di fronte una facciata molto modesta, meno rigorosa, più alta e trattata palesemente come un retro. A tutto questo si aggiunge infine il grande anonimato del cortile stesso; semplice spiazzo piantumato, non fa altro che contribuire a questo senso di separazione.

Questi elementi di disgiunzione impediscono una lettura fluida dell'insieme; in effetti, si ha l'impressione di osservare dettagli lasciati al caso, meno ragionati rispetto alla logica delle facciate e del sistema distributivo. Cercando le cause di ciò, mi rendo conto che i blocchi furono ultimati solo nel 1943, nel bel mezzo della guerra, con grandi difficoltà nel reperire manodopera e fondi da parte di un regime ormai prossimo alla dissoluzione. Chiaro, si tratta di ipotesi. Certo è che, nonostante alcuni elementi decisamente non convincenti, le case di via Anzani rimangono viva testimonianza di una tendenza storica e sociale ben precisa. Sono portavoce, insieme ai grandi esempi illustri che già abbiamo raccontato su queste pagine, di una fase culturale complessa e variegata, che si è saputa interrogare anche sugli aspetti più pragmatici della società dell'epoca. (qui per altre immagini)

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