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9.9.11

Torino, corso Dante 59

Mi riprometto oggi di essere il più sintetico possibile. Dopotutto, in mano non ho molti elementi; non si tratta di un esempio notevole, né di architettura celebre; è la facciata di un edificio residenziale stretto tra le cortine di corso Dante, nel bel mezzo del traffico di San Salvario.

La cosa innanzitutto più evidente è la differenza cromatica rispetto all'intorno; in linea di massima, gli edifici su corso Dante prediligono toni chiari, contrasti ridotti. Qui i colori si fanno invece più scuri, cosa che, unita alla singolarità del suo partito esterno, ne accentua la visibilità. La facciata è scandita da aperture vicinissime tra loro, tutte con affaccio, inquadrate da lunghi setti di calcestruzzo innestati tra loro sulle verticali; non c'è nulla di complesso, nessun virtuosismo particolare, eppure funziona tutto benissimo (non conosco l'interno; dando un'occhiata all'ingresso non si rimane stupiti come all'aperto): il taglio un po' allungato delle finestre, quella porzione nuda sopra di esse prima del marcapiano (una sorta di intervallo), il dettaglio del parapetto, le tessere scure del rivestimento.

Le ombre hanno la loro importanza; questo si deve alla presenza massiva dei setti, che contribuiscono a scurire tutta la composizione; mi piace inoltre (e su un tema simile io e F avevamo già dibattuto) il fatto che ogni apertura sia racchiusa all'interno di una cornice. Se ci fosse maggiore distanza tra la soglia e il parapetto e se i setti avessero prodotto un incavo maggiore, si avrebbe la sensazione di un ritaglio sull'esterno, una sorta di istantanea su ciò che c'è fuori, come se l'architetto avesse voluto allegare al progetto anche una serie di scatti di sua scelta. Questo non credo si possa verificare su corso Dante, di dimensioni così ridotte e con una presenza notevole di alberature; ma davvero, in questa facciata ho trovato quasi un corrispettivo di quel ragionamento.

Ora, la questione temporale. L'edificio, a giudicare dalla finiture e dal linguaggio formale, sembrerebbe risalire agli anni Sessanta, Settanta al più tardi. Il problema della qualità sarebbe da affrontare; guardando alcuni punti del rivestimento ci si può accorgere che le tessere sono sconnesse, e soffermandosi su certe finestre salta subito agli occhi il degrado di serramenti e serrande. Riflettendo a posteriori, mi rendo conto che la facciata non lavora su questi elementi; nel senso, non è quel tipo particolare di finitura che ne spiega il funzionamento, l'efficacia. Forse solo il parapetto partecipa alla logica dell'insieme. Il resto no, giacché si potrebbe, a mio avviso, scegliere un rivestimento diverso, serramenti diversi, oscuranti diversi (mantenendone i caratteri cromatici, ovvio) senza alterare il significato della composizione.

Mi ero promesso di essere sintetico e non ci sono riuscito; troppe digressioni, forse. Ma concedetemi l'attenuante della difficoltà; quando abbiamo a che fare con linguaggi di base su cui sono imperniati elementi accessori intercambiabili è facile immaginare altre soluzioni, altre possibilità. Probabilmente è qui che risiede l'importanza della composizione in facciata. Sul fatto che non è solo pelle e bucature.

S

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