Il complesso, realizzato da Gio Ponti nel 1936, ospita imprese ed aziende; sostanzialmente uffici. Si trova all'incrocio tra via Turati e via Della Moscova a Milano.
Il primo degli scatti qui a destra è stato da me realizzato proprio all'angolo della cantonata, seduto a terra sul marciapiede, in mezzo ad un traffico impressionante di persone e mezzi per essere in piena estate (abito a Torino, probabilmente ho un'idea tutta mia riguardo al traffico milanese).
Le dimensioni colpiscono, è quasi banale dirlo. Meno banale è l'impressionante attualità che l'edificio sfoggia con disinvoltura, manco fosse stato progettato settantacinque anni fa. Il protagonista della composizione è quel corpo centrale convesso, con il suo rigoroso partito di elementi rettangolari binati; probabilmente anche questo risulterebbe ovvio se non fosse per la precisione del dettaglio. Il taglio delle lastre di rivestimento crea infatti una leggera 'depressione' della superficie in mezzo alle aperture, cosa che personalmente trovo elegantissima, così come i parapetti che appena si intravedono nella parte bassa delle finestrature.
Il ritmo è serratissimo, dunque. Questo potrebbe già appagare, ma Ponti è abile a tal punto da alleggerirsi sui corpi laterali, con due sole stringhe di elementi rettangolari dalle differenti proporzioni, creando quell'intervallo così eloquente nel centro. Gli infissi sono a filo della facciata, ma con un po' di attenzione si può notare che all'interno di ciascuna apertura è presente un secondo telaio. Ci siamo domandati a lungo la motivazione; gioco formale, espediente tecnico, etc. Ci documenteremo a proposito.
Rimane il fatto che seduti lì nell'angolo siamo rimasti per una buona quindicina di minuti.
Entriamo titubanti nella hall dell'edificio. Non è grandissima, ma la qualità delle finiture è notevole; l'elemento di attrazione è costituito da due lastre di vetro inclinate sulle quali è fatta scorrere continuamente dell'acqua, che in questo modo 'marmorizza' la trasparenza del vetro. Anche qui, ignoro se si tratti di un elemento voluto da Ponti o frutto di aggiunte successive. Forse un po' effettistico, ma tutto sommato funziona. La cosa davvero straordinaria dell'interno, a mio parere, sono invece i grandi pilastri rivestiti interamente da vetri a specchio in tinta scura; mi ricordano quelli di Mies nella Neue Nationalgalerie a Berlino, soprattutto per la cura nella posa in opera.
Incitati dal custode (cordialissimo), ci spingiamo verso gli ingressi di servizio, affacciati sul cortile interno. Il rigore del fronte strada perde qualche colpo, anche a causa di un dubbio materiale di rivestimento che, dopo aver consultato il custode, scopriamo essere di aggiunta recente. Il rivestimento originale era infatti costituito da quel 'mosaicato' diffusissimo nelle architetture italiane del secondo dopoguerra, visibile ancora oggi nel vano scala che, tra le altre cose, meriterebbe una menzione a parte non solo per la complessità geometrica e strutturale, ma anche per la bellezza dei dettagli.
Usciamo da palazzo Montecatini scontrandoci nuovamente con l'afa estiva, il sole in faccia e il caos di uomini e mezzi. Un effetto di stordimento che mi piace immaginare come parallelismo di una confusione ambientale che, fortunatamente, in questa visita, mi è sembrata per un po' qualcosa di lontano.
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