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19.8.11

Torino, corso D'Azeglio 2

L'angolo tra corso Vittorio e corso Massimo, intersezione tra due arterie così notevoli a Torino, in realtà non esiste; o meglio, esiste solo in quanto perimetro, barriera di separazione tra pubblico e privato. Infatti, a negare la lex legum del tessuto urbano sabaudo, ci pensa questo mastodontico edificio sbilenco, che incurante dell'intorno e dell'importanza che gli spigoli rivestono in un luogo come Torino, si distende obliquo in tutta la sua gargantuesca fisicità, creando una spezzata ingiustificata proprio nel punto in cui era più che mai lecito aspettarsi parallelismi e ortogonalità.
Certo, prova a rimediare serrando ermeticamente lo splendido giardino che in questo modo è riuscito ad ampliarsi (dico ampliarsi perchè tutti i fronti di corso Massimo arretrano dal filo stradale, lasciando uno spazio libero di mediazione), ma non basta; le sue dimensioni e la sua propensione alla linea orizzontale non fanno altro che amplificare questa distorsione. E pensare che per il resto ci piace così tanto.


Progettato negli anni Sessanta (trueisgood, l'avrete capito, è attratto dall'architettura di quel decennio), vanta infatti alcuni elementi davvero invidiabili; la facciata, se non fosse per la sua bizzarria volumetrica, sarebbe fantastica. In realtà, lo è comunque: in primo piano, le lunghe stringhe dei parapetti di calcestruzzo (sagomati in modo da accogliere le fioriere; un tempo diffusissimi, oggi praticamente scomparsi) si stagliano su un fondale scuro, costituito dal tamponamento esterno, i cui dettagli sono quasi invisibili; si deduce in questo modo l'insolita ampiezza dei balconi, elemento centrale della composizione, supportato (come se non bastasse) da una massiccia presenza di piante e fioriture. Sotto questo punto di vista, è una delle migliori combinazioni verde/calcestruzzo nelle facciate di Torino.


Il calcestruzzo, laddove è utilizzato, è ricoperto dal famoso 'mosaicato' seriale tanto in voga in quegli anni. In realtà, in nessun punto la muratura o il calcestruzzo è a vista; le facciate laterali, forate solo centralmente da sopraluce dal taglio sottile, sono infatti rivestite con lastre di pietra. Sono presenti inoltre, in alcuni punti sul fronte e sul retro, lunghi montanti metallici di colore bluastro; la loro presenza mi sembra più coerente sul retro, dove la presenza di pannelli di vetro come parapetti rendeva logica la presenza di maggiori sostegni.

Superata la soglia della cancellata esterna, ci si trova immersi (per non dire avvolti) in un lussureggiante eden fatto di praticello all'inglese, alberelli stile salice piangente, cespugli più o meno potati e persino uno stagno, grande quanto una pozzanghera (per la serie: 'quando madamina incontra l'architettura'). Evitando di arrabbiarsi di fronte alla porta scorrevole dell'ingresso (schifezza fuori luogo), si accede poi alla grande hall di ingresso, elegante quanto presuntuosa; ogni superficie è infatti trattata a specchio da rivestimenti lapidei pregiati e, come se non bastasse, dietro al banco della portineria (una via di mezzo tra quello di un hotel e un altare religioso), una riuscitissima composizione scultorea a tutt'altezza domina l'intero spazio (guardala qui).

Complessivamente, si tratta di un edificio notevole. Peccato davvero per l'eccesso di boria in alcuni discutibili dettagli e per l'atteggiamento noncurante di fronte allo scacchiere urbanistico. Avrei potuto tranquillamente inserirlo nella lista dei preferiti, ma guardando lo stagno-pozzanghera, allontanandomi verso l'uscita, sinceramente ho preferito di no.

S

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